Kleg 2 - Sangue freddo
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Kleg statistics: |
Azione, malvagità e intrigo sono le tre colonne portanti di questi racconti (pensavo di aggiungere anche raccapriccio e volgarità, ma questi ultimi due sono più abbellimenti che parti principali). I valori andranno da 1 (contenuto moderato) a 5 (contenuto estremo). Azione: 3. Malvagità: 2. Intrigo: 5. Se hai già finito il racconto magari dimmi anche se sei d'accordo sulla valutazione; nel caso la metterò a posto per aiutare i prossimi interessati. |
Hai visto?
Intrigo 5!
E non scherzo. Il complotto all'interno della storia è molto molto complesso: per questo voglio testarlo e scoprire chi riuscirà a risolverlo.
Prima di tutto voglio rassicutarti. Non barerò.
Spesso i personaggi "investigatore" o "spia" scoprono elementi della storia senza che questi indizi vengano rivelati al lettore: è una tecnica per aumentare la suspense. Ma è anche un trucco.
Altre volte, come trucco, si fanno apparire dal nulla nuovi personaggi alla fine della storia per giustificare degli elementi "a posteriori".
Io non inserirò alcun trucco. Il complotto è stato congegnato in maniera congruente e tutti gli elementi che Clarion scoprirà saranno in bella vista. Quindi chiunque potrà valutarli per scoprire chi sta cercando di complottare contro la nazione di Algeron.
Ecco i termini della sfida.
Ferma il complotto! |
Questo racconto si fermerà a poche pagina dalla fine. Così non salterà fuori il vero colpevole. * chi tenta di risolvere il dilemma avrà diritto a chiedere il finale del racconto via e-mail. In ogni caso la sfida terminerà tra dieci giorni. |
Si parte.
O, se preferisci...
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E prova a salvare Algeron!
Kleg 2 - Il sangue freddo dell'ambizione
Dita, artigli e squame nere rimasero sospesi sopra al tavolo: la mano del demone stava porgendo un pennino.
«Si sono fottuti il cervello.» Clarion alzò lo sguardo dalla pergamena.
Tre occhi gialli lo fissavano: due al loro posto, sopra gli zigomi, il terzo sulla fronte.
«Al contrario, questa offerta è la tua opportunità di mostrare chi sei.» Il demone sorrise, dalle labbra spuntarono denti gialli macchiati di nero; aguzzi come canini.
«Come se potessi rifiutare. Forse voi demoni avete un rapporto più umano con i vostri superiori» disse Clarion.
«Questo commento razzista fa piangere il mio cuore.»
«Voi demoni non avete cuore.»
«No. Ma abbiamo comunque dei sentimenti.»
«Dà qua.»
Il pennino passò nelle mani dell’uomo; Clarion non riuscì ad evitare il contatto con la pelle del demone: squamosa e viscida. Probabilmente quella creatura aveva intenzione di metterlo a disagio, ma Clarion decise di non dargliela vinta. Nascose la repulsione. Almeno per quanto possibile, infatti i peli sulle braccia decisero autonomamente di rizzarsi.
«Se un demone passa a darmi una missione significa che ho guadagnato la fiducia del Kleg.» Il tono di Clarion era quasi una domanda.
«Così mi hanno detto.» Il demone annuì, i capelli crespi seguirono il movimento come se fossero fusi con il corpo per l'intera lunghezza.
«E allora perché diavolo ci dobbiamo incontrare in un bordello?» Si trovavano in un salone, seduti al bancone. Tovaglie di velluto coprivano i tavoli e borse ricolme tintinnavano sulle cinte degli avventori.
«Capisco. Pensavi che questo fosse una specie di premio.» Le pustole marroni sul volto del demone si mossero: la pelle si tese in una smorfia divertita. «Ma potresti per piacere evitare imprecazioni razziste?»
«Giusto, scusa. Ma rimaniamo sull'argomento: perché hanno scelto il bordello delle Figlie della Notte?» Nel frattempo Clarion si accorse di una bionda che lo controllava con la coda dell’occhio. Se lo aspettava; ma prima di una missione era meglio fare attenzione.
«Leggi il raccordo. Sono state le Figlie della Notte a inviarci le informazioni. E poi sono nuova.»
Clarion sollevò le sopracciglia, indeciso su quale domanda porre per prima.
«Non vedi come sono denutrita?» I dubbi di Clarion aumentarono: quella quindi era un demone donna. Strano che non disponesse di tette.
«Se vuoi offro la cena? Cosa desideri, carne di vergine?»
«Sei molto gentile.» Insieme alle parole Clarion sentì anche una zaffata d’alito: sapeva di zolfo. «Ma sono costretta a rifiutare, mi nutro per lo più di peccati. Hai qualche domanda?»
Clarion tornò a squadrare la pergamena. L'aveva già letta; ma, con il pretesto di cercare più luce, si spostò sulla sedia in modo trovare un angolo migliore per tenere d'occhio la bionda. Alta, curve a posto, decisamente appetibile. La donna in questione spostò il bacino a sinistra mentre si voltava, fingendo di non notarlo.
«Una domanda allora. Si sta meglio di là o di qua?»
«Non sono autorizzata a rivelare informazioni sull'aldilà. Ora, hai qualche domanda sul piano?»
«La corporazione degli alchimisti ha un piano per picchiarlo nel culo al Procuratore alla salute. Io devo impedire questo abuso. Facile no?»
«No. Un membro del Kleg sta controllando il Procuratore.»
«Ho letto. Infatti mi chiedo come mai il capo insista per ottenere supporto esterno.»
«L'agente interno potrebbe essere compromesso. Hai già letto il suo fascicolo pomeriggio.»
Clarion si morse un labbro: la solita storia. «Corruzione. Ne siamo certi?»
«Corruzione, o altre influenze. Il tuo superiore dice che il Kleg non ha ricevuto alcun rapporto riguardo alla cena di stasera. Quindi qualcosa non va.»
«Vuoi dire che il mio capo è rimasto a sollazzarsi il suo cazzo non morto e mi spedisce alla cieca?» Clarion sbuffò. «Fantastico.»
«La tua volgarità gratuita è gradita, le lamentele meno. Ma…» Il demone alzò una mano per fermare l’umano. «Ho l’ordine di fare in fretta. Devo convocare il tuo supporto. Aspetta qua.»
Solo una manciata di curiosi fissarono la demone mentre questa attraversava la sala; sembravano abituati a spettacoli del genere.
Un luogo di perdizione; decisamente troppo caro per Clarion, almeno per ora. E non aveva neanche il tempo di goderselo per curiosare in giro come avrebbe voluto. Un vero peccato.
Un gruppo della corporazione dei vignaioli stava facendo girare una grolla: una scodella piena di liquido verde fosforescente da cui bevevano a turno, mentre mangiavano bistecche di manzo alla brace. E si riusciva già a notare alcune coppie scambiarsi effusioni oltre le tende color crema ai lati della stanza. Ognitanto gridolini di donna provenivano da quella direzione.
Clarion iniziò a giocherellare con un bicchiere di cristallo, fingendo di mantenere l’attenzione sul raccordo appoggiato sulla tovaglia di pizzo.
Sospirò, pronto ad affrontare l’assedio. Certe cose erano proprio scontate.
«Sono proprio fortunata. Per un attimo ho pensato che preferissi i demoni.» Il frusciare della gonna annunciò l'arrivo della bionda: si sedette sulla sedia lasciata libera dal demone.
Clarion continuò a fingere di leggere raccordo.
«Sei un agente del Kleg, vero? Un operativo.» La donna si chinò con naturalezza, come se stesse cercando una posizione più comoda; ma allo stesso tempo mise in mostra le curve del seno che trasparivano dal corpetto aderente.
«Sì, e tu sei una flautista. Ma ti avviso: sono in servizio.»
«I mercanti sono ricchi, ma noiosi. Voglio solo parlare un po’ per passare la serata.» La donna prese ad arricciarsi i capelli, girandoseli tra le dita. «Voi agenti del Kleg siete così... interessanti.»
«Certo, e voi flautiste non ci fate sconti.» Clarion appoggiò il bicchiere e incrociò le braccia.
La donna accavallò le gambe; il piede iniziò a dondolare, puntando all'inguine di Clarion. «No, è vero. Non a tutti almeno.»
«Io non sono uno di quelli, sono solo una fottuta Ombra.»
«Un’Ombra? Addestrato a introdursi in qualsiasi luogo quindi.» La donna trattenne il respiro, mentre riportava le gambe nella posizione originale, leggermente aperte. «Io mi chiamo Letis.»
Clarion rilassò le braccia, appoggiando un gomito al bancone. Il senso del dovere iniziò a combattere contro il calore che provava al basso ventre.
«Se sei di fretta ti lascerò andare... quando vorrai. Non ti chiedo nulla, solo una chiacchierata.» La donna scese dalla sgabello, avvicinandosi. Clarion sentì la gonna che scivolava sui suoi pantaloni; il seno della donna gli sfiorò il braccio.
Clarion deglutì. «No.»
«Uff. Eddai.» La donna sfoggiò un'espressione studiatamente imbronciata. Sorrise di nuovo, un sorriso lascivo. «Lascia perdere gli interessi dello Stato, solo per qualche minuto. E vieni... con me.»
«Cercati un altro.» Clarion tornò a girarsi, e proprio allora si accorse della demone che riappariva sulla soglia delle scale. «Sei pregata di levarti, Letis.»
Il tono di Clarion fu duro, ma la donna rimase in silenzio; non mostrò alcuna intenzione di spostarsi.
L’uomo alzò una mano per fermare la demone, ma questa parlò lo stesso.
«Mi hanno appena informata: il tuo contatto si chiama Letis. Bionda, con un fiore blu tatuato sulla spalla destra. Il mio compito è finito.» Detto questo il demone si girò e iniziò ad avviarsi verso l'uscita.
La donna di fianco a Clarion sollevò per un attimo la spallina e mostrò il tatuaggio. Gli occhi di Clarion si spalancarono.
«Tu?»
«Non posso credere che abbiano mandato un novellino.» Lo sguardo della donna divenne serio.
«Sono il migliore agente che il Kleg abbia mai avuto.»
«Noi vi offriamo informazioni importanti e il Kleg manda te? Un pivello? É con questo che ripagate il nostro segno di fiducia?»
Fastidio. Anzi, il tono di quella donna lo stava facendo incazzare. Doveva controllare l’emozione, tornare all’indifferenza.
«Come no. Un segno di fiducia… per cui chiedete qualcosa in cambio.»
«Siete voi che avete mandato una delle vostre scopasassi dal Procuratore alla salute.» Le labbra di Letis divennero una linea piatta. «E quando questa gli piscia nella minestra cosa fate? Tornate...»
Clarion alzò una mano con il palmo aperto verso la donna, poi la appoggiò al tavolo.
«Se sei una flautista. Non è la prima volta che fai da supporto. Giusto?»
La donna storse le labbra.
«Ti rinfresco la memoria. Finché siamo in missione farai esattamente quello dico. Prova a fottermi, o fai qualche cazzata, e l’accordo sarà annullato.»
«Invece se funziona ci lascerete il Procuratore; e non manderete più altre spie.»
«Sì, i termini sono questi.» Clarion gettò il raccordo nel fuoco. La pergamena si raggrinzì sempre di più, annerendosi fino a diventare uno sbuffo di fumo. «Sei pronta?»
Letis annuì.
La carrozza avanzava sulla strada, attraversando un quartiere con strade in pavé. La magia di levitazione applicata alle sospensioni rendeva ancora più agevole il viaggio: i buchi quasi non si sentivano.
Al contrario la cosa che Clarion sentiva di più era il corpo di Letis seduto al fianco. La donna era rimasta in silenzio per una decina di minuti: da quando avevano iniziato il viaggio.
Doveva concentrarsi, prepararsi. E bisognava aiutare anche il supporto, come da procedura.
«C'è una cosa in particolare che non capisco. Come sei riuscita a farti soffiare il Procuratore?»
Gli occhi di Letis si indurirono. «Voi bastardi del Kleg non avete scrupoli.»
«Non voglio sentire ramanzine da una come te; voglio una risposta.»
«Io rendo felici le persone. Voi le ammazzate. Se vuoi sentirti superiore fa pure.»
Clarion rimase a fissarla. Nessuna reazione. La donna sembrava sopportare il silenzio.
«Il procuratore di ha mollato. Forse non sei abile come fingi di essere.»
«I tuoi metodi con me non funzionano.» Tono lapidario. Non male come reazione. Ma bisognava scoprire fino a che punto sarebbe resistita.
«Niente giochetti allora.» Clarion si accarezzò la guancia con due dita. «Ma devo capire chi è la persona che ti ha sottratto la fiducia del procuratore.»
«É uno come te. Cosa vuoi sapere di più?»
«Io sono un’Ombra. Specializzato in spionaggio e infiltrazione. Mentre la persona di cui stiamo parlando è un Pugnale. Assassinio e sicurezza.»
«Per me siete tutti uguali.» Le labbra di Letis si strinsero in una linea dura e sottile.
«Un Pugnale non è addestrato nella seduzione. Voglio solo sapere come ha fatto a fregarti.»
«Non lo so. Va bene?»
Cominciò a piovere: le gocce battevano contro i finestrini, facendo da sottofondo alla conversazione. Clarion mise in bocca la nocca, meditabondo.
«Potresti almeno provare a rispondermi?»
«Non dovrebbero essere i tuoi ad aggiornarti?» Le sopracciglia della donna si sollevarono. Formarono un arco decisamente alto, ma anche attraente.
«Rispondi alla domanda, per favore.»
Letis socchiuse gli occhi con fare sospettoso; lo squadrò.
«Si chiama Cletiana. Esperta avvelenatrice, brutta donna. Ama i gioielli e la ricchezza anche se finge di disprezzarli. Pignola, calcolatrice, ma incapace socialmente. Spietata.»
Pupille centrali, fissavano a destra: quindi Letis stava dicendo la verità; ma forse non era una storia di prima mano. Clarion annuì per incitarla a continuare.
«Una volta un vostro informatore aveva deciso di non parlare. Un duro, un ex militare. Lo torturò a lungo, ma niente. Così lo lasciò legato a una sedia, mentre apriva le finestre della camera dove lo teneva prigioniero. Quindi salì sul tetto.» Letis rallentò il ritmo della voce, rimanendo a fissarlo; lo sguardo si fece più intenso. «Prese la moglie di quest'uomo e la lanciò giù. Ma questa non morì sul colpo; rimase a terra, annegando nel suo sangue. Era ancora viva quando vide suo figlio maggiore atterrare giù, di fianco a lei. Poi fu il turno della figlia. La tua amica risparmiò solo il figlio minore. E l'ex militare parlò. Soddisfatto?»
Clarion si leccò il labbro inferiore. Un riassunto efficace in effetti, anche se non gli rivelava nulla di nuovo.
«La gente che conta qua a Itis si fa fuori con il veleno. Per questo hanno scelto un'esperta: Cletiana doveva proteggere il procuratore...»
«Sì, e il cielo è blu e l'acqua e bagnata.» Letis tornò a voltarsi. «Continuo a domandarmi come mai hanno scelto te.»
«Cletiana non si intende solo di veleni, ma anche di droghe.» Clarion guardava i capelli della donna. Erano in contrasto con il vestito color blu notte. «Si rifornisce da uno degli alchimisti, un tipo molto grasso. L'hai mai visto?»
«Sì, mi ricordo un tipo del genere.» La donna continuava a non guardarlo.
Clarion sollevò un braccio e grattò la parte inferiore del finestrino; lasciò le impronte dei polpastrelli sulla condensa.
«Muoviti. Sono pronta.» La donna strinse con le dita il tessuto della gonna; durò un solo istante, ma Clarion non se lo lasciò sfuggire: ansia repressa.
«A fare che? Arriveremo tra cinque minuti.»
«Ho già lavorato con voi. Gli ultimi cinque minuti sono il momento in cui mi rivelate i particolari peggiori. Fallo.»
Clarion prese un lungo respiro; il profumo di narciso e vaniglia usato da Letis aveva riempito la carrozza.
«Non esiste niente del genere.»
«Allora diciamo che talvolta ho avuto sorprese dell’ultimo minuto. Ne hai?»
Clarion rimase in silenzio, a guardare fuori dal finestrino. Era indeciso. Informarla o non informarla? Entrambe le scelte comprendevano dei rischi.
«Ne hai.» Le spalle di Letis si abbassarono mentre si lasciava andare sul sedile.
«Conosci le conseguenze se ti tiri indietro ora?»
«Le stesse se ti tradisco. Accordo annullato e in più tortura e morte per me.» Letis arricciò le labbra, lanciandogli uno sguardo carico di veleno. «Gli uomini che minacciano le donne mi fanno schifo.» Le labbra della donna si storsero, sottolineando molto bene la parola "schifo".
L'oscurità esterna rese difficile controllare la strada fuori; Clarion notava solo qualche sagoma di luce distorta dalle gocce d'acqua sul finestrino, ma la luminosità stava aumentando. Gli avevano detto che la luce diminuiva la criminalità; e il quartiere di velluto, quello dov'erano diretti, se la poteva permettere.
«Cletiana non è al corrente della missione.»
«Come?» Un'ombra di angoscia apparve negli occhi di Letis.
«Sospettiamo che sia compromessa. Penso che abbiano scelto me perché non mi ha mai visto.» Clarion fece spallucce, eccitazione e paura si stavano mischiando: amava le missioni. «O forse perché mi ritengono sacrificabile. Chi lo sa.»
«Una missione in solitaria. Non avremo appoggi?»
Un ponte. La carrozza lo attraversò; le vibrazioni delle ruote sul legno si sentirono attraverso i sedili.
«Diciamo anche prova del fuoco.» Clarion non riuscì a trattenere un ghigno: finalmente l'aveva colpita. «Vogliono scoprire come me la cavo da solo.»
La luce all’interno della carrozza non era molta, ma Clarion notò il volto di Letis che sbiancava.
«Letis Vanderven. La tua carriera ha preso un sacco di scorciatoie; quasi tutte attraverso il Kleg. C’è gente che ti invidia ai piani alti; non dirmi che non te n’eri accorta.»
«Tu sapevi già chi ero.» Il volto di Letis divenne livido.
Falso. O almeno non l'aveva riconosciuta subito: gran brutto errore. Comunque meglio non dirglielo.
Il ritmo degli zoccoli dei cavalli sul terreno stava rallentando: mancava poco all'arrivo.
«Il vino arriva da Akeloon e viene controllato da Cletiana; che fa anche da assaggiatrice del procuratore.» Clarion adoperò un tono professionale. Mancava poco al punto di non ritorno. «La preparazione del cibo, sia cotto che non, viene effettuato in cucine controllate da cuochi e vivandieri di fiducia con interessi legati al procuratore. Confermi?»
Letis annuì.
Clarion non aspettò il cocchiere, aprì la porta e scese per primo con mosse affettate ed eleganti. Si girò e porse la mano a Letis.
«Sei pronta a pagare il prezzo dell’ambizione?» Clarion sorrise, rimanendo sotto la pioggia. «Puoi ancora scegliere. Chiederò di trattarti bene: avrai una morte veloce.»
«Dopo stanotte giuro che non aiuterò mai più voi bastardi.»
La donna gli diede la mano. Le dita erano soffici e calde, in contrasto con il freddo dell'acqua piovana.
«Saggia decisione.»
~
Batacchi d’ottone ben modellati con denti da roditore e occhi di topazio, ma rivoli d’acqua scorrevano sopra le gemme, rendendole opache. Dietro, nel cortile si trovava una fontana: la superficie d’acqua veniva battuta dalle gocce di pioggia.
La porta di quercia si aprì e una ventata di caldo fuoriuscì dall'edificio, accarezzando la nuca bagnata di Clarion. Si girò.
«Benvenuta mia cara. Sei in perfetto orario.» I lampadari di cristallo a luce magica illuminavano la donna che li accolse: capelli scuri, labbra piccole, occhi chiari. Questa si avvicinò e strinse entrambe le mani di Letis; le due donne sorridevano anche con gli occhi, sembravano davvero felici di vedersi.
«Grazie dell’accoglienza, Cletiana. Questo è mio cugino.» Letis aprì una mano, presentando Clarion, fradicio e gocciolante.
«Il mio nome è Ceridan, della guardia dei Bracchi. E mi fa piangere gli occhi vedere una donna come voi costretta a svolgere mansioni da maggiordomo.»
«Il braccio armato di Itis.» Le sopracciglia di Cletiana si socchiusero, per solo un istante; ma Clarion se ne accorse. «Mi fa sentire al sicuro avere persone come voi.»
«Farò qualsiasi cosa per proteggere belle donne come voi.»
Un attimo di silenzio. Clarion sapeva chi aveva davanti. E forse questa conoscenza era reciproca. Magari una fuga di informazioni.
«Siete un guerriero e conoscete le regole della cortesia, un'accoppiata vincente per conquistare il cuore di qualsiasi donna.» La risata di Cletiana sembrava sincera, ma mentre varcava la soglia Clarion si rese conto, o meglio avvertì, di essere stato catalogato come “bersaglio pericoloso”.
Nessun problema, poteva gestirlo. Decise di escludere la fuga di informazioni: si era mosso troppo in fretta. Prima cosa da fare: valutare la sicurezza dell'ambiente.
Pavimento in marmo rosso, sopra di esso un tavolo, ed eccola là; sul tavolo Clarion individuò la prima fonte di pericolo: una brocca di vetro che tutti usavano per riempire i boccali di vino.
«Lasciatemi pure le vostre giacche» disse Cletiana.
«Aspetta, ti accompagno.» Letis si spogliò del mantello; si rivolse al finto cugino. «Vorrai scusarmi un minuto.»
«Vi attenderò, ma non so quanto resisterò senza riuscire a deliziarmi della vostra compagnia.»
«Che linguaccia siete, messer Ceridan.» Cletiana gli appoggiò una mano sul gomito, stringendo in modo amichevole. «Intanto servitevi pure. Oggi sarà una festa molto intima; quindi, purtroppo, ci saranno pochi camerieri.»
Il sorriso di Clarion si allargò, mostrando il candore dei denti
«Molte guardie all'esterno, pochi disturbatori all'interno. Apprezzo la vostra scelta... e un'ultima cosa. Portare armi in casa altrui è maleducazione, quindi posso affidare a voi la mia spada?» Clarion si sfilò il fodero che portava alla cintola e lo porse a Cletiana.
«Posso solo immaginare cosa vuol dire essere disarmati per uno come voi.»
«Vuol dire potersi rilassare e godersi la serata.» Clarion rispose al sorriso di Cletiana, facendole l’occhiolino.
«Siete proprio una persona rara.»
Sorrisi. Contatto fisico. Belle parole. Altri sorrisi. Ma mentre guardava le due donne allontanarsi Clarion pensò che forse lo avrebbero ucciso entro la mattinata. E aveva perfino consegnato la spada. Ma dopotutto sarebbe stato ridicolo credere di poter battere un Pugnale del Kleg, meglio fingere fiducia. Bene. Tornando alla missione: doveva concludere l'analisi dell'ambiente, così iniziò a passeggiare nella sala.
Sei invitati, tre coppie. Tre sicuramente alchimisti. Uno di loro era molto grasso, addirittura obeso: doveva essere quello che vendeva droghe. Ognuno dei tre alchimisti aveva un’accompagnatrice. Queste ricambiavano lo sguardo mostrando curiosità, oltre ai soliti sorrisi; ma non accennarono ad avvicinarsi. Solo il grassone lo salutò, sollevando un boccale. Con la mano gli fece anche un cenno di unirsi al gruppo.
Uno degli uomini aveva uno sguardo gentile; gli altri lo stavano ascoltando mentre discuteva, gesticolando a ritmo del discorso. Risero insieme. L'ultimo a capire la battuta fu il grassone; ma quando rise lo fece proprio di gusto, gli ballò tutta la pancia.
Sembravano così socievoli, innocui.
A loro ci avrebbe pensato dopo, prima le cose più urgenti. Clarion riportò l'attenzione verso il tavolo; si avvicinò, prese uno dei boccali e lo riempì di vino, fissò il liquido all’interno. Rosso e denso.
Una congiura di alchimisti e un’esperta avvelenatrice. No. Il vino nella brocca era troppo scontato.
Giocherellò con il bicchiere, fissando il liquido; e vide che gli altri ospiti non si facevano problemi a bere dai propri boccali. Il grassone aveva perfino le gote arrossate dall’alcool.
Clarion si mosse verso i quadri alle pareti opposte alle finestre; alzò la testa, come per ammirarli. Ma i suoi occhi puntarono verso il basso, per controllare uno dei quattro incensieri.
Studiò il fumo, e si arrischiò ad annusare: profumo di incenso di sandalo. Passò a guardare il quadro successivo e fece la stessa cosa. Arrivato al terzo sentì un odore diverso: sapeva di rosa, ma non vide alcun petalo. Solo incenso. Clarion passò oltre: l’ultimo incensiere sembrava a posto.
Sempre che non fosse il contrario. Cioè tre avvelenati e uno pulito. Oppure quello alle rose aveva solo un odore diverso.
La morte per veleno poteva essere atroce e durare settimane. Ma il fumo… gli avevano detto che se le esalazioni non agivano in fretta c’era ragione di credere che bisognava respirarne in dosi abbondanti.
Clarion tornò al braciere sospetto a guardare la miscela che fumava.
«La Liberazione di Elisima, l’ultimo dipinto di Mader.» La voce di un uomo. Magro, capelli neri: quello con l'espressione gentile. «Rappresenta l’amor della patria.»
«Io preferisco molto la Setaia, l’amore per la famiglia» rispose Clarion. «Dopo l’epidemia Mader ha perso talento.»
«Dicono che dopo la ribellione è stato costretto a dipingere per lo Stato.» Clarion e il maestro alchimista si fissarono.
«Mi chiamo Ceridan della guardia dei Bracchi.»
«Io sono Daansel.» Gli strinse la mano. Intanto Clarion sentì rumore di passi, tacchi su pietra: una donna in arrivo.
«Il gran maestro degli alchimisti? L’onore è tutto mio.» Clarion mostrò un entusiasmo esagerato. Aprì le braccia per poi indicarsi con il pollice. «Sapete, una volta stavo accompagnando un carico delle vostre spezie. Era davvero enorme…»
Clarion fece un passo indietro, allargando ancora di più le braccia, come per mostrare la grandezza del carico. E andò a urtare la donna in avvicinamento.
«Oh, per Erathul, scusi.» Clarion schizzò di lato per allontanarsi, come imbarazzato. Colpì con un calcio la gamba dell’incensiere, che si limitò a cedere un poco. Clarion imprecò dentro di sé; fece finta di perdere la presa del bicchiere. Si mosse per riacchiapparlo e finì con tutto il peso sull’incensiere. Che cadde a terra insieme a lui.
Sentì un forte calore alla gamba rimasta in contatto con il ferro incandescente, ma appena toccò terra balzò a distanza di sicurezza.
«O diavol...» Il viso di Clarion adottò un'espressione smarrita mentre fissava l'incenso spargersi fuori dal contenitore. «Presto, chiamate un domestico.»
Risposero voci e gridolini spaventati.
Intanto il grassone e il gran maestro lo presero per le spalle, aiutandolo ad alzarsi mentre Clarion sentiva il ticchettio di due paia di tacchi in corsa alle spalle.
«Presto. Siediti qua.» Il gran maestro lo stava trascinando verso una sedia; sembrava apprensivo, come se gli importasse davvero.
«Sto bene, sto bene.»
Il ticchettio stava già tornando indietro, seguito da passi pesanti e rumore di ferraglia: due guardie arrivarono con degli stracci.
«So come ragionate voi guerrieri.» Il gran maestro prese un tovagliolo bagnato e lo utilizzò per spolverare la gamba scottata di Clarion. «Ma è meglio controllare le ustioni. Dovrò farti abbassare i pantaloni.»
Occhi spalancati di Clarion e mormorii tra le donne appena rientrate.
«In un’altra stanza chiaramente» aggiunse il maestro alchimista.
«Non ce n’è bisogno. Piuttosto come sta l’incensiere?» chiese Clarion.
«Sta bene.» Il grassone fissava le guardie recuperare l’incenso per terra. L'aria sibilava ogni volta che una delle parti incandescenti veniva spenta. «Il braciere si metterà a posto, e l’incenso non vale così tanto.»
«E anche se lo valesse. L’incolumità di un essere umano vale di più.» Il Gran Maestro strinse la spalla di Clarion. «É meglio se controlliamo.»
«Vi prego. Sto bene.» Clarion sollevò il tovagliolo. «I pantaloni sono praticamente intatti. E non sento neanche la scottatura.»
Il maestro alchimista fissò i pantaloni, con aria dubbiosa.
«Hai ragione.» L’alchimista riprese a sorridere mentre si alzava, abbandonando il tovagliolo sul tavolo. «Complimenti, sei stato veloce... Maldestro, ma veloce.»
«Mi spiace solo aver creato tutta questa agitazione» disse Clarion. La gamba era salva. Solo bagnata.
«Non l’avete fatto apposta. Poi… Siete pure riuscito a salvare il bicchiere.»
Rumore di una porta: si aprì e si chiuse alle spalle di Clarion. Passi in avvicinamento.
«Inoltre se non accadessero queste cose le feste sarebbero di una noia infinita» disse il grassone prima di voltarsi a guardare i nuovi venuti.
«Noto con piacere che vi siete conosciuti.» Cletiana era rientrata insieme a Letis. Le due donne stavano fissando Clarion, o meglio, la macchia bagnata sulla gamba.
«Posso spiegare» disse Clarion.
«Spero sia divertente.» Cletiana propose di nuovo il sorriso amichevole.
«Non disturbate troppo il nostro guerriero. Anzi.» Il gran maestro sollevò il bicchiere, seguito dagli altri presenti. «Un brindisi al più grande salvatore di bicchieri della storia di Itis.»
E presto i calici raggiunsero le labbra dei rispettivi proprietari.
I bicchieri si abbassarono e Cletiana andò a sussurrare qualcosa all'orecchio del maestro alchimista; l'espressione di questo divenne ancora più distesa e felice.
«Che diavolo stai facendo?» Letis sorrideva con fare civettuolo.
Clarion ammiccò, iniziando a massaggiarsi la gamba.
«Cosa stai facendo tu? Perché sei andata con lei?»
«Si era insospettita: era evidente.» Letis appoggiò le mani sulla gamba di Clarion, aiutandolo a massaggiarla, come se fosse una sorella apprensiva.
«Per questo le ho dato la spada.» L’espressione di Clarion divenne scherzosa.
«E ora sei disarmato... Geniale.» La lunghe sopracciglia della donna si abbassarono rendendo lo sguardo ancora più intenso. Non male. Sembrava davvero impegnata in una discussione frivola; invece che in uno scambio di informazioni.
«Tanto non sono addestrato a combattere.»
Clarion doveva controllare i dintorni, ma si stava distraendo. Maledizione. Si accorse solo all'ultimo momento di Cletiana e del maestro alchimista: stavano uscendo, la donna accompagnava l'uomo, conducendolo a braccetto.
«La spada può servire per molte altre cose.»
«Invece che spiegarmi il mio mestiere dimmi cosa hai fatto.»
«Cletiana non si è bevuta la storia del parente.» Letis si strinse nelle spalle dando maggiore risalto ai seni, a stento trattenuti nell’abito. «Le ho detto che sei una guardia del corpo.»
«Hai usato la scusa dell’ammiratore indiscreto?» Clarion prese un lungo respiro.
«Da cui tu avresti dovuto difendermi, sì.» La scusa non avrebbe retto molto, ma dopotutto non c’era stato molto tempo per prepararsi una copertura. Sarebbe dovuta bastare.
«Be', con tutte queste guardie anche loro possono capire che la mia spada non serviva.»
Letis lo fissò dubbiosa; un po' troppo perplessa per i gusti di Clarion.
Nel frattempo le voci intorno si erano abbassate, e molti continuavano a lanciare occhiate verso la porta di accesso.
«Ti prego.» Clarion appoggiò una mano sulla spalla della compagna. «Puoi smettere di massaggiarmi la coscia? Non riesco a concentrarmi.»
La donna allontanò la mano, portandola a ravvivare i capelli biondi. «Cos’è successo qua?»
Un dito di Clarion si avvicinò alle labbra, facendole cenno di tacere, come per custodire un pettegolezzo. In realtà voleva ascoltare: nuovi ospiti venivano accolti a gran voce nell'altra stanza, ma non riuscì a sentire i nomi.
«Uno degli incensieri era sospetto. Ho dovuto liberarmene.»
Letis accavallò le gambe e fece una carezza alla guancia di Clarion come se gli stesse facendo un complimento. «Non so più di chi fidarmi. Non so più cosa fare.»
Clarion prese la mano della donna, calda e liscia. La strinse, fino a quando non sentì le ossa.
«É stata Cletiana. O quantomeno lo sapeva dato che controlla la sicurezza della zona. Ora siamo sicuri che è lei il nemico.»
«Ma il fumo avrebbe ucciso anche lei.» La stretta ormai doveva farle male: Letis non riuscì a trattenere una smorfia di dolore.
Cletiana rientrò nella stanza. Subito seguita dal maestro alchimista; quest'ultimo tenne aperta la porta per un'altra donna. Una donna incinta. Entrò insieme a un paggio, anzi no. Doveva essere un altro alchimista.
«Quindi Cletiana è guidata dall’ideologia. Per soldi non si farebbe ammazzare.» Le lasciò la mano.
«Non voglio morire.»
La testa di Clarion annuì. Aveva riconosciuto la donna incinta: doveva essere la moglie del maestro alchimista. Questi infatti sembrava avere occhi solo per la nuova arrivata, e le stava versando del vino. Le appoggiò una mano sulla spalla, poi le porse una sedia: atteggiamento molto protettivo.
«Cosa ti ha detto?» chiese Clarion.
L'espressione di Letis si irrigidì.
«Girano strane voci. A quanto pare il Procuratore sa che stasera sarà presente un uomo del Kleg, corrotto. Non so quanti oltre a lui lo sappiano, ma sono convinti che solo un’Ombra possa entrare qua.» Letis distolse lo sguardo da Clarion che la stava scrutando. «Avrebbe dovuto trovare un contatto e usarlo per entrare.»
Le mani di Clarion batterono sulle cosce come se avesse ascoltato una fantastica battuta.
«La prossima volta che non ti fiderai di me morirai. Manderai tutto a puttane e moriremo qua.» L'uomo schioccò la lingua mentre le faceva l'occhiolino. «Altrimenti provvederò io.»
Un'ombra passò sul volto di Letis; ma se ne andò subito. «Sai già come fermare Cletiana?»
«Sempre che sia lei il nemico.» La mani di Clarion si incrociarono dietro la nuca, mentre si lasciava andare sull’imbottitura dello schienale.
«Cosa vuoi dire? Hai appena detto che era lei.»
«Be', in realtà l'ho detto per vedere come reagivi. Il veleno poteva essere stato messo da uno degli alchimisti proprio quando tu e Cletiana ve ne siete andati.»
«Ma tu lo avresti notato.»
«Hanno avuto un sacco di tempo per farlo mentre parlavo con voi.» Clarion sottolineò quelle parole con una scrollata di spalle. «Tutto potrebbe essere avvelenato qua intorno. Vino, cibo, perfino l’aria o le pareti. Magari la sedia dove stai seduta.»
Le mani di Letis si sollevarono a coprirle il volto, come fingendo imbarazzo per una battuta di Clarion; ma l’uomo vide che si stava asciugando una lacrima. «Ti prego, lasciami andare.»
«Non ho quel potere. Ma tu davvero lasceresti qua una donna incinta?» La prese per entrambe le spalle e sentì la tensione nei muscoli della donna. No. Ancora non funzionava. «Ascoltami. Noi usciremo di qui se fai esattamente quello che ti dico. Sono addestrato per queste cose.»
Bene. Si stava rilassando, anche se di poco.
«Nella tua vita sei stata capace di affrontare situazioni difficili. Lo leggo dai tuoi occhi. Vedo dentro di te una parte dove sei ancora tranquilla... Adesso, sei in grado di fare quello che ti dico... E inoltre al Kleg conoscono un sacco di antidoti. Più ci pensi più comprenderai che possiamo curarti, perché useranno veleni lenti. Lo fanno sempre per far sembrare scollegati gli eventi. E tra qualche settimana sarai ricca e tranquilla mentre questo rimarrà solo un ricordo.»
La donna prese alcuni respiri.
«Posso fare solo una cosa. E dovrai farla anche tu. Nelle situazioni difficili noi del Kleg seguiamo la procedura madre di tutte le altre: quando hai un dubbio vuol dire che accadrà la cosa peggiore.»
«Cioè?»
«Posso fidarmi solo di te, gli altri sono tutti nemici, magari senza saperlo. Farò di tutto per salvarti finché sei con me. Mangia quello che mangio io, usa solo bicchieri che ti do io e bevi quello che bevo io. Ci siamo intesi?»
La donna annuì.
«Conosci i metodi mentali per mantenere il controllo?»
Letis si voltò a guardarlo. «Come quelli che hai usato su di me proprio adesso?»
«Erano solo piccole induzioni verbali, puoi fare di meglio.»
«Li conosco. Ma ti prego, rimani….»
«Io devo seguire Cletiana. Tu vai a cercare il procuratore, non si è ancora visto.» Clarion si alzò e si allontanò dalla donna. «L'obiettivo primario è proteggerlo, se non si fida hai il permesso di fingere che sospetti di me.»
Poteva vederlo, o forse sentirlo. Il gocciolio freddo dell'ansia pian piano stava erodendo l'autocontrollo della donna.
Crollerà. Sento che le cose peggioreranno parecchio.
Mentre camminava nella stanza molti degli ospiti gli chiedevano se si fosse ripreso. Clarion sorrideva e rispondeva che era tutto a posto e che neanche i suoi pantaloni ne avevano risentito. Che fortuna.
Ma era giunto il momento di fare la prima mossa: così si avvicinò al gruppo di Cletiana e del grassone.
Contatto oculare, bene così.
«Ma voi non siete mastro Garren?» Gli occhi di Clarion si spalancarono, luminosi di felicità. «Praticate altre ottime attività oltre all’alchimia: adoro le vostre erbe.»
«Siete un buongustaio.» Il grassone dalle gote paonazze annuì, inclinando la testa. «Le mie erbe da fumo sono le migliori.»
«Mastro Garren ci regala qualcosa dai suoi migliori pacchi dall’estero quando viene a trovarci» aggiunse Cletiana.
Clarion non degnò la donna di una sguardo, anzi si spostò in modo da dargli quasi le spalle.
«Lo so perché ho aiutato a trasportare la spedizione invernale di due anni fa.»
«Ehh le spedizioni. Noiose per voi guer... Ma… Un attimo. L’inverno di due anni fa? Per le palle di Arral: avete affrontato la migrazione dei barbari quindi.»
«Si. Battaglie interessanti, lo devo ammettere.» Clarion alzò gli occhi in alto alla sua sinistra, fingendo di ricordare.
«Gloriose vorrai dire: battaglie sotto la neve contro i barbari. Dovete essere bravo.» Il tono di Cletiana stava diventando infastidito, non sembrava gradire l’essere ignorata così platealmente.
«Un’annata maledetta per la vendita di erbe del nord.» Il ghigno del grassone si storse in un singhiozzo. «Tranne per me. Le vostre squadre sono le uniche ad aver salvato qualche carico. Mi avete reso monopolista. Anche se per una sola stagione. Brindo alla vostra salute.» Sollevò il bicchiere.
«Si, brindiamo in onore ai caduti.» Clarion alzò il boccale, seguito da Cletiana e un’altra donna. «E anche per i sopravvissuti; soprattutto quelli che si sono guadagnati quadrupla paga e tre gradi sul campo.»
«Tre gradi? Dovete essere uno dei migliori spadaccini di Algeron.» Il palmo di Cletiana si appoggiò sulla spalla di Clarion: lo spinse, scherzosamente, ma lo spostò per evitare che lui continuasse a dargli le spalle.
«A proposito.» Clarion lanciò una rapida occhiata alla mano di Cletiana, ancora appoggiata. L'uomo si spostò, gentilmente come lei, ma si spostò per allontanarsene. «Ero venuto con un motivo ben preciso, ma voi mi avete permesso di vantarmi troppo. Volevo un’opinione sulle erbe da fumo. Ma se voi siete una conoscitrice delle erbe preferirei ascoltare un’opinione femminile.»
Il mercante annuì interessato mentre Cletiana ammiccava.
«Seguitemi, è solo una cosa da un minuto.» Clarion cinse la vita di Cletiana, spingendola, ancora gentilmente, per allontanarsi. Sentì solo una breve resistenza. «Ve la rubo solo qualche secondo.»
Il mercante sorrise e fece l’occhiolino, ma Clarion non mancò di notare gli sguardi ostili da tutta la stanza.
«Non sono così abituato alle feste come può sembrare. Vorrei sapere se è arrivato il momento in cui posso darvi del tu.» Chiese Clarion, tenendo il braccio attorno alla vita della donna. Intanto controllava se avesse pugnali nascosti: pensò di sentirne uno poco sopra al bacino.
«Sì, perché no.» La donna sollevò una mano alle labbra. E Clarion non mancò di notare una sottile peluria, quella donna aveva un principio di baffi. Che schifo.
Clarion sorrise, poi sollevò le sopracciglia. «Oh, ecco cosa mi sfuggiva di te. Ora ho capito.» L’uomo lasciò la donna, allontanandosi di un passo.
«Cosa hai scoperto di me?» Cletiana si sporse in avanti come per recuperare terreno, una gamba avanzò anche se rimaneva appoggiata sulla gamba posteriore.
Letis è dannatamente più brava.
«L’anello.» Clarion avanzò e prese la mano della donna tra le sue, mostrandogliela. «Portare l’anello al dito mignolo ha un significato: un rapporto che non funziona. Vorrei credere…»
«Ehi, ehi, fermo. Voglio avvisarti…»
Clarion rise di gusto. «Sono sposato e innamorato.» Sollevò una mano, mostrando un anello nuziale. «Ma sono certo che già sai molto di me... Dopo aver parlato con Letis.»
La donna annuì, ma Clarion notò il rossore sulle guancie.
«Che dite? La nostra terribile gaffe ci ha allontanati irrimediabilmente o posso tornare a darvi del tu?»
«Secondo me hai mentito.» Cletiana sorrise e ammiccò con malizia. «Tu sai come ci si comporta ad una festa, e anche bene.»
«Sono abituato ad accompagnare dame nobili. Ma promettimi che rimarrà il nostro segreto.»
Cletiana sorrise e lo prese sotto braccio. Clarion le riprese la mano e controllò di nuovo l’anello; sembrava sicuro, non nascondeva aghi avvelenati.
«É un anello molto femminile. Sono pronto a scommettere che la persona che lo ha scelto sa molto in fatto di donne.»
La donna rise. «Allora dimmi. Chi me lo ha regalato?»
«Troppo facile. Posso dirtelo, ma voglio qualcosa in cambio.»
La donna rimase in silenzio, ma l’uomo non proseguì.
«Che cosa?»
«Un’informazione davvero personale. Capirei se non vuoi rispondermi» riprese Clarion.
Di nuovo silenzio. Lo sguardo della donna stava diventando sospettoso, forse addirittura preoccupato.
«Quando sei da sola, e hai voglia di passare un po’ di tempo per rilassarti. Hai presente quando hai un momento per te, per goderti la vita e vuoi essere completamente te stesa. Ecco... ora... qual è l’erba da fumo che preferisci?»
Il sorriso della donna si allargò fino alle orecchie. Non era certo bello quanto quello di Letis, ma sembrava sincero. «Pensavo che stavi per chiedermi…» La donna continuò a sorridergli senza concludere la frase.
«Cose sconce. Lo immagino, voi donne siete vere predatrici quando volete.»
«Noi donne?» La donna appoggiò una mano sul petto dell'uomo, come per spingerlo via, ma Clarion trattenne la mano, appoggiando sopra la propria.
«Ecco, guarda: perfino ora cerchi di approfittarti di me!»
«Forse.» Le pupille di Cletiana si allargarono mentre sorrideva. Clarion la lasciò andare. «Allora chi mi ha regalato l’anello?»
«Il patto è chiaro. Prima devi rispondere tu.»
«Va bene. É il Respiro del Drago dei monti.»
«Ci avrei scommesso. Era anche la stessa che pensavo di regalare.»
«Uh, e a chi la vorresti regalare?» La donna fece per voltarsi a guardarlo lateralmente. Ma Clarion la prese per una mano, avvicinandola e riportandola faccia a faccia. Non incontrò resistenza.
«Alle mie quattro amanti. Faccio sempre del mio meglio per soddisfarle tutte.»
«Siete un uomo falsissimo, sir Ceridan. Altro che non conoscitore delle feste. É la prima volta che cercate di approfittarvi di una innocente ragazza?»
Cletiana non gli toglieva gli occhi di dosso. E non smetteva di sorridere.
«Ti devo una domanda soltanto. Cosa vuoi sapere? Chi ti ha regalato l’anello, a chi devo regalare l’erba o cosa sono abituato a fare alle feste di Itis?»
La donna inclinò la testa. «L’anello. Sono pronta a scommettere che non saprai indovinare chi me lo ha dato.»
«Ti assicuro che non c’è niente di più semplice. É un anello molto femminile quindi probabilmente scelto da una donna.»
Il volto della donna si mosse impercettibilmente. Poi si bloccò. «Stai cercando indizi, malandrino.»
«La tua sfiducia mi ferisce.» Clarion portò una mano al petto, sorrise. «Comunque te lo sei regalato da sola.»
La donna rimase in silenzio e Clarion la prese sotto braccio, accompagnandola verso una finestra.
«É talmente ovvio. Si vede dal modo in cui ti muovi che sei una persona indipendente, sei molto protettiva con le persone a cui vuoi bene, spesso più del necessario. Forse per qualcosa che ti è accaduto in passato, qualcosa che non hai ancora superato. E si nota anche adesso che, più ci pensi, più c’è una parte di te che lotta con un’altra parte, dai desideri più profondi. E continui a sentire il bisogno di qualcosa.» Clarion si portò una mano al petto. «Adesso... dimmi che non è vero.»
L’uomo rimase in silenzio, sentiva la mano della donna che ormai stringeva il suo braccio. Per alcuni istanti non accadde nient'altro, ma Clarion ebbe la spiacevole sensazione che Cletiana fosse rosa dal dubbio. Si aspettava resistenza, imbarazzo, magari anche rabbia ma non dubbio.
«I campi di battaglia ti insegnano queste cose?» chiese infine Cletiana.
«Non immagini cosa si scopre ascoltando i discorsi delle vecchie che accompagno.»
«Sembra divertente.»
Mentre si studiavano a vicenda Clarion ripassò l’addestramento: attrazione raggiunta, isolamento completato, messa a proprio agio. Facile. Non era neanche servita la fase dei complimenti. La più semplice in realtà.
«Posso raccontarti qualche storia, ma voglio una cosa in cambio.»
«Siete un mercante molto disonesto, ma sentiamo se sono in grado di soddisfarvi.» Il tono della donna fingeva formalità, ma gli occhi dicevano ben altro.
«Il Procuratore impiegherà almeno mezz’ora ad arrivare. Offrimi una fumata delle vostre erbe e ti racconterò tutto. Se sarai gentile magari avrai anche qualche battuta come bonus.»
La donna lo fissò, scrutandolo da sotto le sopracciglia. Per un attimo Clarion ebbe la brutta sensazione di essersi mosso troppo in fretta. Dubbio tipico a quel punto. Lo archiviò, sorridendo con sicurezza.
«Smettila, sono certo che questi borghesi annoiano anche te.» Clarion la spinse gentilmente. «Andiamo e torniamo. Il procuratore è al sicuro e qua intorno è pieno di guardie. Esci prima tu: mi prenderò la responsabilità di averti seguito. Ci vediamo tra due minuti al corridoio, quello da dove sono entrato.»
Un lungo sguardo: Clarion pensò di intuire quello che passava per la mente della donna. Cletiana si allontanò.
Clarion controllò intorno, il gruppo di persone non sembrava badare più a loro. Anzi, la maggior parte degli altri stava ascoltando una delle accompagnatrici che recitava una poesia. Che cosa romantica...
Clarion raggiunse il luogo prescelto, ma trovò il corridoio vuoto. Strano. Si guardò intorno.
E capì di aver commesso un errore.
Una mano gli tappò la bocca mentre un’altra gli torceva il braccio. Sentì una spinta fare leva sulla clavicola e si ritrovò a rotolare dentro una stanza in penombra.
Deviò la traiettoria per evitare una sedia e saltò in piedi. La porta si chiuse.
L’oscurità calò nella stanza. Il rumore di una serratura che scattava. Clarion riconobbe due punti luminosi nell’oscurità: due occhi brillavano di luce molto debole, rossi. Il cuore iniziò a battere sempre più in fretta.
«Sai chi sono?» La voce era soffocata da una maschera, ma si poteva riconoscere il tono di Cletiana.
«Pugnale del Kleg. Assassina e torturatrice.» Clarion cercò di concentrarsi sul picchiettio della pioggia che batteva sui vetri, per recuperare il controllo.
«Pensavi davvero di avermi conquistata?»
La paura frugò nelle interiora di Clarion come un coltello gelido. Una goccia di sudore gli colò sulla nuca. Seguire la procedura.
«Se senti il bisogno di chiederlo credo di sì.» La goccia di sudore continuò a scivolare, scendendo lungo la spina dorsale.
«Sei già eccitato? Eppure siamo solo ai preliminari.»
Inutile. Il controllo era in mano all’avversario.
I cerchi rossastri si avvicinarono, fluttuando nell’oscurità e la gola di Clarion si annodò. La donna poteva vederlo grazie alla magia della maschera, mentre lui doveva aspettare di abituarsi al buio.
Un lampo mostrò la maschera in fasce di cuoio, il pugnale in mano alla donna, una sedia e delle corde a terra. Tornò tutto più nero di prima.
«Fai luce e parlerò.» Clarion inghiottì a vuoto. Cercò di avvicinarsi alla finestra, ma inciampò sulla corda a terra. Riuscì per miracolo a mantenere l’equilibrio.
«Una piccola concessione? Tutto qua quello che vuoi?»
Il rumore di un tuono scosse la stanza, facendo vibrare i vetri.
Il pugno di Cletiana affondò nello stomaco di Clarion. L’uomo si stava raggomitolando dal dolore, ma una ginocchiata lo raggiunse al plesso solare. Infine Cletiana lo prese per i capelli, mettendosi alle sue spalle e appoggiandogli qualcosa di freddo e affilato alla gola. «Rispondi: chi ti manda?»
Clarion era costretto in ginocchio e sentiva la gamba di Cletiana premere sulla spina dorsale. Il dolore alle costole e alla schiena gli consentiva di prendere solo brevi respiri.
«Sono… ombra… Kleg.» Riuscì a dire tra gli ansiti. «Voi… pugnali… idioti.»
«Hai visto la sedia e la corda? Sai cosa significa?»
«Che… Te la stai facendo… Addosso.» Clarion sollevò una mano e prese il coltello, iniziò ad allontanarlo per trovare una posizione più comoda. La donna cedeva. «Se volevi… uccidermi… lo avresti già fatto.»
«É evidente che non stai gestendo la situazione.»
Clarion sentì la suola di uno stivale che lo colpiva alla nuca: finì lungo disteso sul pavimento; voleva spostarsi per atterrare di spalla, ma Cletiana gli torse il braccio, così atterrò di testa sul marmo. Il cranio rimbalzò e al buio si unirono un sacco di puntini bianchi.
Cletiana lo sollevò, sbattendolo sulla sedia e gli tirò due ceffoni per farlo riprendere. Stava succedendo tutto troppo in fretta.
«Rispondi: chi ti manda? Dimmi il nome.»
«Il Teschio. Mi manda il Teschio.» Clarion odiò la debolezza nella propria voce, cercò di sollevare le mani per proteggersi, ma scoprì di essere trattenuto da delle corde. La frescura della stanza gli raggiunse la pelle sul petto: lo aveva spogliato. Doveva essere svenuto prima.
«Se sei del Kleg conosci la procedura e sai cosa devo fare adesso.»
«Hai già capito che sono un’Ombra del Kleg. Se mi credevi corrotto mi avresti già torturato sul serio. Se fossi tu corrotta mi avresti eliminato. Questo vuol dire che non sai cosa sta succedendo e hai bisogno di me. Tutto intero. E sai che il Teschio indaga su queste cose e si muove in fretta» disse Clarion tutto d’un fiato, continuava a parlare sperando di salvarsi.
La donna rimase in silenzio.
«Qualcuno ha messo in giro false voci per fregarci.» Clarion ne approfittò per riprendere fiato, forse c’era speranza.
Nessuna risposta. La pioggia cadeva a rovesci e le gocce grosse come ciottoli martellavano contro il vetro della finestra.
«Hai ricevuto oggi l’informazione della cena. Dev’essere stata preparata in fretta.»
Ancora nessuna risposta. Il bagliore del lampo generò una luce tanto intensa da strappargli un sussulto, seguito dal crepitare di un tuono: le vibrazioni fecero tremare il terreno stesso.
«Ma nessuno ha ricevuto il tuo rapporto, devono averlo intercettato. Non c’è altra spiegazione.»
Cletiana ispirò bruscamente, facendo un passo indietro. Sembrava in difficoltà, come se fosse in conflitto con una parte di sé stessa e riuscisse a malapena a controllarsi.
«Le Figlie della Notte hanno accesso a informazioni riservate, e hanno interesse a eliminarti. Altrimenti possono essere gli alchimisti. O ambedue. Oppure un terzo.»
I due punti luminosi rimasero a fissarlo. La luce di un altro fulmine illuminò Cletiana che rimaneva immobile con in mano il pugnale. Stava tremando. La donna avanzò.
«Ti prego, ti prego! Voglio solo aiutarti.» Il rumore del tuono coprì le parole di Clarion.
«Cosa… proponi?» La voce dell’assassina era rotta, quasi irriconoscibile, ma la sagoma scura diventò più grossa, coprendo la finestra: si era avvicinata di un altro passo.
«Ti aiuterò a scoprire come vogliono avvelenarlo.» Tono troppo supplicante, ipotesi azzardata. Poco convincente. Clarion strinse i denti.
La donna emise un gemito, e avanzò. L’uomo boccheggiò dalla paura, preparandosi a ricevere il colpo.
Qualcosa di metallico cadde, tintinnando a terra; la donna gli si accasciò addosso. Finirono sul pavimento insieme alla sedia.
La donna si aggrappò alla spalla di Clarion, cercando i alzarsi: ma quella mano stava tremando, dall’interno. Perse la presa.
La maschera della donna gli sbatté sulla guancia. Cletiana emise un gemito soffocato e sibilante che entrò direttamente dentro l’orecchio dell’uomo, insieme al rumore di cartilagini crepitanti.
I piedi di Clarion strisciarono sul pavimento mentre cercava di allontanarsi, boccheggiando dal panico. E trattenne il fiato, inghiottendo l’orrore: sentì qualcosa che si muoveva dentro la donna. Non fu solo rumore di ossa che si spostavano, spingevano e strappavano: la pelle di Clarion riuscì proprio a sentire le costole della donna muoversi, strappandole i vestiti. Un liquame viscido e caldo scivolò fuori dalla maschera, colando mollemente sul petto scoperto di Clarion che strinse i denti per non urlare. La maschera cadde e la guancia della donna si appoggiò sul naso di Clarion. Riuscì a sentire la pelle di Cletiana che si stava aprendo: un brandello umido e caldo cadde, appoggiandosi vicino alle labbra. Clarion ansimò in preda al panico, soffiando per allontanarlo; e infine riuscì a contorcersi facendo cadere la donna di lato. Mentre scivolava per terra Clarion riuscì a sentire pelo ispido che lo accarezzava.
L’istinto di Clarion gli diceva di non urlare, ma riusciva a sentire il rumore del proprio respiro accelerato, mentre il cuore batteva all’impazzata. La mente rifiutava di capacitarsi del liquido che gli stava colando sul petto.
Non si rese neanche conto della luce che si accendeva. Fu liberato dalle corde e corse in un angolo, a rannicchiarsi, mentre la consapevolezza di sé tornava a galla, come un tuffatore che stesse per riemergere di colpo.
Dalla bocca pelosa di Cletiana partivano lunghi baffi. La donna, o meglio il mostro, si stava chinando a raccogliere il coltello. Oltre le vesti stracciate si potevano vedere tre seni, grigi: flaccidi e pelosi. Ma nascosti nel vestito ce n’erano di più. Sparirono alla vista quando si alzò.
«Un… un ratto mannaro?» Clarion non riconobbe la propria voce.
«Il Kleg non ha scrupoli.» Il tono era calmo: la voce della donna era diventata più acuta, ma ancora riconoscibile. «Ora non c’è più urgenza. La muta è passata, avrai tempo per guadagnare fiducia.»
Una missione. Doveva mostrare il proprio valore. Ed era il migliore.
«Ora si spiegano molte cose.» Clarion chiuse gli occhi.
«Già. Sapevamo che gli alchimisti nascondevano qualcosa, e se tentano di colpirci stasera saremo più pericolosi. É per questo che il procuratore ha scelto una notte di luna piena.»
«Dobbiamo… dobbiamo fare delle ricerche finché abbiamo tempo.» Clarion continuava a ripetersi che andava tutto bene, il peggio era passato. Eppure non riusciva davvero a crederci.
Cletiana prese la maschera afflosciata a terra e la sollevò, lasciandola penzolare da un dito. «La maschera non mi serve più. Puoi recuperare la tua? O vuoi che ti presto questa?»
Liquido viscido e nerastro gocciolò fuori dalla maschera andando a imbrattare il pavimento.
«Ne farò a meno. Grazie.»
La ratto mannaro lo studiò per alcuni istanti, appoggiò gli artigli a una libreria e tirò. Il mobile si spostò, scricchiolando, e rivelò un passaggio tra i mattoni. «Partiremo dalle cantine, vedremo se puoi davvero aiutarmi.»
Clarion rimase a fissare la scena, andò verso i vestiti appoggiati su un comodino. Il farsetto era stropicciato, ma pulito. Con uno straccio si ripulì dal liquame rimasto sul petto e si rivestì. Il bernoccolo gli faceva un male cane, ma riuscì a coprirlo con i capelli.
«Un ratto mannaro Procuratore alla Salute. Itis non smette mai di stupirmi.»
Clarion provò a sorridere, ma sentiva ancora la spina dorsale che tremava.
~
Cletiana tolse le scarpe: i piedi felpati facevano meno rumore.
«I servi sanno che sei un mannaro?» chiese Clarion.
«Solo quattro persone hanno accesso qua: cuoco, vivandiere, speziale e coppiere. Questi sanno riconoscermi.»
Si trovavano in una cantina: mura scavate nella pietra e ripiani di legno pieni di bottiglie coperte di polvere, oltre ad alcune botti accatastate in gruppi.
«Sono fidati?»
«Sono i più fidati. Ma non so se basterà.»
Lo stridio del vento raggiungeva perfino quella zona, ma i tuoni si facevano sempre più lontani.
«Qualcuno ha aggiunto delle botti.» Cletiana si appoggiò a un barile del gruppo centrale, rimanendo a studiarlo. I baffi da topo si rizzarono. «E le hanno spostate.»
Clarion annusò l’aria, odore di legno, sughero e muffa. «Avevi già controllato il vino, le vivande i bicchieri, i vassoi e tutte le stoviglie?»
I baffi della donna topo ondeggiarono mentre annuiva a ogni nome. «Anche tovaglie e tovaglioli. Tutto è controllato dalle guardie tranne questo posto. Ma la porta della cantina ha una sola serratura molto complessa. Solo loro quattro e io abbiamo la chiave per entrare.»
Una pausa di un battito di cuore.
«Quindi uno di loro è il complice» disse Clarion.
«Loro. O un esperto scassinatore. Come un’Ombra del Kleg.»
«Voglio essere ottimista e mi escludo.» Clarion si avvicinò a un gruppo di botti. «Ora controlliamo quelle che dobbiamo usare stasera.»
«Non sapevo che addestrassero le Ombre a riconoscere i veleni.» La donna sibilò, sfoderando un pugnale.
Le mani di Clarion si alzarono mostrando i palmi aperti. «D’accordo. Controlla tu.»
Cletiana armeggiò con la botte di vino mentre Clarion si guardava intorno, senza spostarsi: cercò di apparire il più innocuo possibile.
Il naso del ratto mannaro vibrò quando si chinò per annusare il buco della botte. «Mi sembra tutto a posto. Non riconosco niente.»
«Senza neanche assaggiarlo?»
«In questa forma riconosco il veleno con il fiuto.»
«Vorrei controllare anch’io se non ti dispiace.» Clarion avrebbe voluto essere più deciso, ma sentiva ancora i tremori della paura.
«Se sei davvero un’Ombra non saprai riconoscere un bel niente.» Gli occhi del mannaro brillavano neri e minacciosi. «Ma puoi scegliere le bottiglie da usare per il brindisi. Tra le cinque che abbiamo qua.»
Clarion impugnò due delle cinque bottiglie e le rigirò: il liquido rosso all’interno si agitò, ma non trovò traccia di polvere. Il tappo aveva solo odore di sughero ed era ancora sigillato. «Avvelenare il vino prima di sigillarlo? Troppo impegnativo: non lo farebbe nessuno.»
Una luce scivolò sugli occhi di Cletiana ma rimase in silenzio, senza spostarsi di un millimetro.
«Oh. Capisco. Nessuno tranne noi del Kleg.» Clarion decise di obbligarsi a insistere: la missione era prioritaria. «Devo farti una domanda...»
Le orecchie del mannaro si drizzarono. «Hai sentito?»
Clarion sollevò le sopracciglia. «Cosa?»
Rimasero in silenzio per alcuni momenti. Clarion sentì un gemito provenire da una delle botti.
«Di qua.» Cletiana corse verso la botte, e infilò gli artigli nel coperchio. La donna mannaro indossava vestiti diversi rispetto a prima: sembravano più elastici e mostravano i muscoli che si tendevano. Quella donna poteva sventrarlo in un istante.
Il coperchio schizzò per aria. Avrebbe potuto fare la stessa cosa con la sua testa. Clarion cercò di non pensarci.
«No. Vi prego, basta.» La voce rotta di un uomo. Gli artigli di Cletiana lo sollevarono, trascinandolo fuori dalla botte.
«Siete entrati con le botti!» Cletiana lo sbatté addosso al muro e gli puntò contro il pugnale. «Quanti siete?»
Clarion dovette lottare contro il terrore per appoggiarle una mano sulla spalla; ma sentiva di doverlo fare.
«La procedura. Questo non è un sospetto.»
I denti di Cletiana stridettero tanto li stringeva; per il resto rimase immobile.
«É moribondo. Dobbiamo capire perché lo hanno messo qua» disse Clarion.
«E se tu fossi suo complice?»
«Non lo sono. Controlla le altre casse, potresti trovarne altri.» La donna ratto scosse i baffi mentre socchiudeva gli occhi e Clarion si congelò dalla paura. Cletiana si allontanò e Clarion sospirò di sollievo; si chinò sull’uomo, prendendogli la testa in grembo.
«Chi sei?»
«Vi prego non fatemi del male.»
«Stai tranquillo.» Lo sguardo di Clarion si spostò su Cletiana che stava estraendo un altro corpo da una botte. «Portami dell’acqua.»
Il corpo che stava uscendo dall’altra botte aveva le orbite degli occhi vuote e strisce marroni sui capelli chiari, sembrava aver sanguinato da occhi e orecchie. Clarion cercò di non fissarlo; ma la spina dorsale gli vibrò di nuovo dall’orrore. Percepì l’odore di carogna e sangue coagulato.
«Voglio solo farti delle domande. Poi ti porteremo al sicuro.» Il tono di Clarion era dolce: si rese conto che voleva davvero salvarlo.
Cletiana arrivò con una piccola brocca d’acqua che versò lentamente nella gola del prigioniero.
«Sto morendo… Voglio rivedere… Mia moglie.» L’uomo ansimava, come se stesse soffocando.
«Sta delirando» disse Cletiana.
«Non ho portato la bambina al giardino di Akeloon. L’avevo… promesso.» L’uomo emise un rumore basso simile a un rutto, ma più profondo. L’aria si riempì di fetore: puzza di carne marcia.
«Dimmi chi è stato.» Clarion percepì una fitta rabbia. La scacciò: doveva rimanere concentrato. «Avrai vendetta e giuro che difenderò io stesso la tua famiglia.»
La luce negli occhi dell’uomo tornò a risplendere per alcuni istanti. Scambiò uno sguardo con Clarion, uno sguardo lucido che intensificò ancora di più la rabbia.
«Gli alchimisti…» L’uomo tossì e annaspò.
«Dimmi i nomi, quali.»
«Daansel. Ma tutti. Tutta la gilda. Loro mi…» Il volto dell’uomo cadde riverso mentre una schiuma bianca gli fuoriusciva dalle labbra.
«Vaffanculo» gridò Clarion mentre gli stringeva le spalle. «Non ora, maledizione. Riprenditi.»
«L’acqua.» Cletiana sollevò il volto dell’uomo e gli aprì la bocca, controllando all’interno. «Ha avuto uno strano effetto.»
«Ho bisogno di tempo.»
La donna ratto annuì. Si allontanò, annusò altre botti e ne aprì alcune. Estraeva un corpo e poi passava alla successiva.
Cletiana tornò da Clarion. L’uomo teneva le braccia incrociate e la testa abbassata.
Il pavimento scuro pareva essere scavato nella roccia viva: logorato al centro dal passaggio dei servitori, ma anche degli assassini. Quanti? Quando? E cosa volevano?
«Che facciamo?» chiese la donna.
«Abbiamo un colpevole, più un numero elevato di ragionevoli sospetti. Ora dobbiamo farli parlare.» Clarion fissava la roccia, come se volesse bucarla.
«Perché portare qua i cadaveri?»
Clarion si accarezzò il mento con la mano mentre sollevava lo sguardo per scrutare Cletiana. «Ho un ipotesi: gli alchimisti stanno cercando di portare una malattia in città, o di avvelenare i pozzi. Per poi lucrare sulla vendita di antidoti. O qualcosa di simile. Vogliono incolpare il procuratore e hanno lasciato i cadaveri per sputtanarlo.»
«Portiamoli via allora.»
«Non c’è tempo.» Qualcosa stava gocciolando lì vicino. Una goccia dopo l’altra scandiva il ritmo degli istanti che passavano. «Dobbiamo interrogare gli alchimisti. Avviso le guardie.»
«E se sono le guardie il contatto? O se il veleno è già circolato? O se hanno un altro piano? O se… Troppe possibilità. Abbiamo il dovere di difendere la città. Ad ogni costo.»
I due rimasero in silenzio nella cantina illuminata dalla luce tremolante di due torce.
«Ho un piano. Ma mi serve il tuo aiuto» disse Cletiana.
La testa di Clarion si sollevò, per fissarla negli occhi: fece un cenno per comunicarle di proseguire...
«Conosco i veleni. Posso avvelenare il gran maestro e gli altri alchimisti.»
Clarion la scrutò a fondo. «Il Pugnale sei tu. Basterà per farli parlare?»
«Non sappiamo con certezza cosa li muove: potrebbero essere disposti a morire.»
«Continua» disse Clarion.
«La moglie del gran maestro è incinta. Per salvare lei parlerà.»
L’aria divenne pesante, quasi minacciosa.
«Stai suggerendo di avvelenare una donna incinta che forse è innocente ed estranea al piano?»
«Sto suggerendo di seguire la procedura.» Le palpebre di Cletiana si socchiusero, senza lasciar trapelare emozioni.
Il petto di Clarion si alzò e si abbassò mentre prendeva un respiro profondo. «A cosa ti servo?»
«Mi serve uno scassinatore per entrare nella stanza dove tengono le coppe: so che le Ombre del Kleg riescono a non lasciare tracce sulle serrature.»
«Lasciamo tracce, ma solo per chi le cerca a fondo. » Clarion arricciò le labbra, dubbioso. «Se avveleni le coppe se ne accorgeranno. Sono alchimisti.»
«Ci sono veleni praticamente invisibili. E soprattutto non se lo aspettano.» Gli occhi di Cletiana erano diventati due punti neri e remoti come la notte invernale.
«Possono neutralizzarli con dei controreagenti.» Le dita di Clarion tamburellavano su una colonna mentre valutava il miglior piano da adottare.
«Li abbiamo perquisiti. Non ne hanno.»
«Li hai perquisiti tutti personalmente?»
Il suono lugubre di una campana s’intromise nella discussione, anche se ovattato dalle pareti.
«Io ho controllato solo il capo degli alchimisti.» Cletiana agitò i baffi, voltandosi verso la porta, con impazienza. «Spicciati, la campana dice che devo incontrarmi con la servitù.»
«Non hai pensato che potessero avere complici tra le guardie?» La testa di Clarion si inclinò con disapprovazione.
Uno degli artigli di Cletiana si sollevò per grattarsi la gola. «Il veleno che sto usando brucia le viscere. Non lascia scampo.»
Clarion scosse lentamente la testa. «Menti.»
Cletiana prese un respiro, come per calmarsi. Riportò l’artiglio lungo i fianchi. «Si può rallentare alchemicamente, ma solo la Chiesa può curarli. E non hanno alleati là.»
Il temporale sembrava essersi allontanato, rimaneva solo il gocciolio. «Come fai essere sicura che non scambieranno le coppe?»
«Accompagno sempre il coppiere.» La voce di Cletiana era calma, fredda, controllata.
«Voglio essere presente quando avveleni i bicchieri e devo esserci anch’io a controllare il tragitto.» Gli occhi di Clarion si fissarono sul volto della donna mannaro: aveva deciso. Ed era pronto ad affrontare le conseguenze della scelta.
Cletiana agitò i baffi. Aspirò l’aria tra i denti. «Va bene.»
Clarion annuì. «Cosa farai dopo l’avvelenamento?»
«Dopo l’avvelenamento diventerò sacrificabile. Sarà il tuo turno di muoverti, ma ti lascio delle dosi di antidoto, nel caso qualcosa mi sfugga di mano.»
La schiuma bianca sulle labbra del cadavere si stava seccando; gli occhi immobili fissavano il pavimento.
«Ora portiamo al sicuro botti e bottiglie. Poi dividiamoci: fai quello che devi fare per rallentarli, io aprirò la porta e ti aspetterò all’interno della sala delle stoviglie» disse Clarion.
D’accordo. Clarion strinse la mano della donna ratto: sentì la morbidezza della peluria, il calore della carne e infine il freddo degli artigli.
La camera dove si trovava Clarion era buia. Qualcuno bussò. Clarion aprì la porta. Cletiana entrò nella stanza e richiuse l’accesso.
La donna impugnava una torcia che illuminava due mobili con ante di vetro, pieni di bicchieri, stoviglie d’argento e tovaglie ricamate, nonché un tavolo con sopra piatti, vassoi e coppe.
«Sei sicuro di riuscire a richiudere le serrature quando usciamo? Nessuno deve capire che siamo stati qua.»
Clarion si limitò ad annuire e accompagnò Cletiana davanti al tavolo con vassoio e coppe. In corrispondenza del bordo del vassoio, vicino a ogni coppa, pendevano dei cartellini con un numero.
«Il coppiere ha l’ordine di distribuirle secondo l’ordine prestabilito, e ha memorizzato le etichette.» Cletiana parlò a bassa voce, con un sussurro sibilante. «Ma gli ospiti non lo sanno.»
«In questo modo facilitate gli avvelenatori. No?» Clarion si concentrò, studiando a fondo le mosse della compagna.
«Solo i nostri. Almeno finché riesco a tenere questa procedura segreta.» Cletiana estrasse una lista da una tasca, e indicò un numero.
Cinque: gran maestro Daansel.
Cletiana appoggiò la lista sul tavolo e diede la torcia a Clarion. Mise la mano artigliata in un sacco e tirò fuori un piccolo vaso; lo aprì e rivelò all’interno un liquido che sembrava olio trasparente. La donna appoggiò il vaso sul tavolo, prese uno straccio e lo intinse. Lo strofinò sulla coppa, con molta attenzione, senza fare pressione. Alla fine riappoggiò il bicchiere sul vassoio: il cristallo sembrava pulito: il liquido era invisibile a occhio nudo. Nessun odore.
«Il coppiere non pulirà i bicchieri prima di usarli?»
«Sono già stati puliti pomeriggio.» Cletiana prese un altro bicchiere e lo strofinò.
«Avveleniamo anche i bicchieri di Letis e delle altre accompagnatrici.» Clarion indicò le coppe con un cenno della testa.
«L’antidoto non è sicuro al cento per cento. Sei proprio convinto?» Cletiana continuava a lavorare, mantenendo tutta l’attenzione su straccio e coppa.
«Possono essere compromesse.»
Il fischio del vento aveva sostituito il rumore del temporale, e copriva il silenzio dei ragionamenti.
«E si sarebbero messe così allo scoperto? Poi se gli alchimisti non si fanno convincere quando minacceremo la donna incinta non cederanno certo per due accompagnatrici» disse Cletiana.
Le labbra di Clarion si strinsero mentre frugava la mente in cerca di ipotesi alternative.
«Come fai a esserne certa?»
«Tutto quello che abbiamo punta agli alchimisti. E non avvelenerei degli innocenti senza un motivo molto valido.»
Clarion emise un lento respiro attraverso il naso. «E se fosse il procuratore?»
I muscoli di Cletiana si irrigidirono: rimase con in mano un bicchiere, immobile. «Stai suggerendo di avvelenare il procuratore?»
«Proviamo a prenderlo in considerazione. Tanto abbiamo l’antidoto.»
Cletiana si girò, lentamente. «Forse non hai capito: l’antidoto è inaffidabile. E potremmo essere morti prima di darglielo.»
Lo sguardo di Cletiana stava diventando sempre più duro. Clarion capì di essere finito nella zona di pericolo. E sentì la stretta del terrore che risaliva dalle piante dei piedi dritto lungo la schiena fino ai capelli.
«Ti fidi del procuratore?»
«Farei di tutto per salvarlo» rispose Cletiana.
Il petto di Clarion si sollevò e si abbassò in un lungo respiro. «Va bene. Procediamo.»
Il quarto d’ora successivo fu molto impegnativo per Clarion: chiuse le serrature e si diresse al salone. Rimase con Letis tutto il tempo che poteva permettersi, parlò con lei, si affrettò a tornare alla stanza delle stoviglie.
Non voleva correre, ma si mosse ad andatura sostenuta, scansando i servitori nei corridoi pieni di arazzi dai colori accessi e dipinti di uomini morti da tempo.
Davanti alla porta trovò quattro persone in livrea oltre al ratto mannaro. Cletiana stava sbattendo la coda per terra: appena lo vide si avvicinò a parlargli nell’orecchio.
«Sei in ritardo. Ci sono stati problemi?» I peli di Cletiana solleticavano le guance di Clarion che arricciò il naso.
«Letis: credo che abbia intenzione di muoversi. Sono andato a…» Clarion trattenne il respiro, storcendo ancora di più il naso, quindi esplose in uno starnuto. Fissò per alcuni istanti la donna mannaro. «Improvvisa allergia ai ratti. Interessante.»
«Avevamo deciso di escludere Letis.» Cletiana irrigidì la schiena, chiudendo una mano a pugno.
Clarion mantenne lo sguardo, cercando di non badare al panico che stava germogliando nelle viscere. «É sotto tensione. Ho solo cercato di tranquillizzarla.»
Cletiana serrò lo sguardo, poi gli voltò le spalle per tornare dagli altri quattro servitori che stavano inserendo le chiavi in altrettanti fori. Solo uno di loro ebbe difficoltà, quest’ultimo riprovò a girare e la serratura scattò.
Clarion fece spallucce, notando lo sguardo di disapprovazione di Cletiana, ma nessun altro mostrò di interessarsi al malfunzionamento. Così i due membri del Kleg entrarono nella stanza insieme a un altro uomo: doveva essere il coppiere. Cletiana annuì; e il servo sollevò il vassoio.
Uscirono dalla stanza. I tre uomini del procuratore, coppiere escluso, rigirarono le chiavi nella serrature. Uno di loro girò anche quella del coppiere rimasta nella serratura, poi la restituì all’uomo con il vassoio, e questi la infilò in tasca.
Il quartetto di servitori, si mosse in ordine, mentre i due agenti del Kleg li seguivano guardinghi. I tre servitori superflui si allontanarono seguendo altri corridoi, così Cletiana, Clarion e il coppiere rimasero da soli.
Due armature, vuote e immobili, montavano la guardia nelle alcove del corridoio.
«Un attimo.» La mano di Clarion si appoggiò sulla spalla del coppiere. «Sai chi sono io?»
Il coppiere sollevò le sopracciglia e fissò Cletiana, altrettanto accigliata.
«Lo hai già avvisato?» Il volto di Clarion esprimeva noia e superiorità.
«Sa tutto quello che deve sapere.» La mano di Cletiana si portò all’elsa del pugnale.
«Meglio spiegarglielo di nuovo.» Tornò a rivolgersi al servo, tenendo il mento sollevato per guardarlo in obliquo. «Sono un’Ombra del Kleg. Tu sei Tadd figlio di Cheddol. So dove abita la tua famiglia, i tuoi figli, i tuoi fratelli. So che tua moglie ha appena partorito una bambina.» Pausa studiata per fargli digerire l’informazione. «Se soltanto sospetto che…»
Il coppiere indietreggiò, spalancando gli occhi.
Il ringhiò di Cletiana riecheggiò nel corridoio. «Che diavolo stai facendo?»
«So tutto quello che c’è da sapere sui sospetti. Voglio capire se centra con l’attentato.»
«Attentato?» Il coppiere boccheggiò, mentre fissava Cletiana, sorpreso.
«Già, se sei un innocente non hai nulla da…» Clarion rimase con l’indice immobilizzato mentre puntava al coppiere, quando, alla fine, giunse l’interruzione.
«Cletiana. Presto.» Una delle accompagnatrici corse verso la donna ratto. Rimase in silenzio a riprendere fiato. Lanciò un’occhiata a Clarion prima di parlare nell’orecchio del ratto.
Cletiana avanzò di due passi. «Diamoci una mossa.»
«Non voglio mettere a rischio il piano perché ci metti fretta.» Clarion appoggiò le mani sui fianchi. «Cosa c’è di urgente?»
«Letis. Vuole baciare il procuratore.» Gli occhi di Cletiana si girarono verso Clarion: la mannara sicuramente stava valutando eventuali reazioni.
Clarion agitò una mano come per mettere da parte l’argomento e superò il coppiere. «Non è un grosso problema, non c’è bisogno di correre.»
«Torna pure da loro» disse Cletiana all’altra donna.
L’accompagnatrice fece due passi indietro, si girò e se ne andò.
«Dobbiamo cercare di muoverci lo stesso.» Il tono di Cletiana non riusciva a mascherare l’apprensione.
I passi di Clarion si bloccarono. «Se Letis lo bacia oggi diventerà un mannaro, giusto?»
Cletiana annuì.
Il coppiere si fermò di colpo e le coppe traballarono: il corpo di Clarion gli sbarrava la strada.
«L’avevo detto di occuparci anche di lei. Devi andare a controllare» disse Clarion.
«Tu la conosci meglio.» Cletiana scosse la testa, fissando con apprensione le coppe sul vassoio.
«Ci ho già provato prima di raggiungervi. Ma Letis potrebbe benissimo essersi avvelenata le labbra o chissà cos’altro. Sei tu l’esperta. E ti fidi di me.»
Cletiana rimase ferma per lunghi attimi, la coda sbatté due volte per terra. Si allontanò senza aggiungere altro.
Clarion diede una pacca sulla spalla al coppiere. «Eh. Donne.»
Le ombre create dalle torce si allungavano, tremolando mentre avanzavano oltre un incrocio. Il tappeto nascondeva il rumore dei passi.
«Sono innocente. Lo giuro.» Gli occhi del coppiere erano spalancati, e dalla voce si poteva percepire il tremolio della paura. «Se siete del Kleg dovete credermi.»
«Non avrai sentito le solite storie. Non ammazziamo innocenti per così poco.» Clarion rise, facendogli l’occhiolino. «Quindi stai… stai… etchiù.»
Lo starnuto di Clarion risuonò nel corridoio. I bicchieri tintinnarono, sommersi dalla nebbiolina di saliva che aleggiò nell’aria di sparire. Coppiere e Clarion si fissarono. La faccia del coppiere divenne prima rossa; guardò Clarion e sbiancò.
«Non perdere il controllo. Risolviamo tutto.» La voce di Clarion rimase tranquilla.
«Non vorrete...» Il coppiere indietreggiò fino ad appoggiare la schiena contro il muro.
«Capisco la tua posizione: non vuoi farmi pulire i bicchieri. Anche se il tuo capo ha appena fatto capire che si fida di me. Ma puoi farlo tu.»
Il coppiere rimase immobile, il volto divenne una polla mercuriale di emozioni: passavano dall’indecisione, all’irritazione per finire alla paura.
Clarion prese un bicchiere. «Parti da questo.»
Il coppiere lo fissò, incapace di muoversi.
«Stasera abbiamo qualcosa in ballo, e sto rischiando anch’io. Sono certo che non hai veleni nascosti.» Il ritmo di Clarion divenne sempre più incalzante, ognuna delle frasi sembrava sempre meno una constatazione e sempre più un ordine. «Non eri certo pronto per una situazione del genere. Li lascio pulire a te. Ora muoviti.»
Il coppiere iniziò a strofinare il grembiule sul cristallo.
«Pulisci a fondo. Non vorrai che se ne accorgano.» Clarion osservò il bicchiere prima di dargliene un altro. «No questo è a posto prendi questo.»
Il coppiere squadrò il bicchiere che Clarion stava rimettendo a posto.
«Smettila di guardare me. Controlla i bicchieri e pulisci quelli sporchi. Non abbiamo tempo di pulirli tutti. Fai solo quelli sporchi.»
L’ultimo bicchiere tornò ad appoggiarsi sul vassoio.
«Ma le posizioni sono giuste?» chiese il coppiere.
«Certo. E mi sembrano tutti puliti ormai.»
Il coppiere fece per parlare; guardò il corridoio e sospirò, riprendendo in mano il vassoio.
«Se parli con Cletiana o se le fai capire che non stai seguendo la procedura ci facciamo una figura di merda.» Clarion sorrise: un sorriso maligno, da animale carnivoro. «Ma indovina poi di chi si fiderà. O, forse è il caso di ricordare che noi del Kleg ammazziamo innocenti per molto meno.»
Clarion entrò nella stanza: notò subito l’assenza di Cletiana; gli altri invitati conversavano in due capannelli, ma sembravano tranquilli. Il grassone era intento a spolpare un maialino arrosto e sollevò una mano unta mentre gli faceva l’occhiolino.
Clarion ricambiò con un sorriso e fece un cenno al coppiere. Questo stappò le bottiglie e iniziò a versare il vino nelle coppe: riempì l’ultimo bicchiere proprio nel momento in cui entravano due ratti mannari a braccetto.
Entrambi i mannari avevano occhi neri e zampette rosa; si potevano riconoscere solo dai vestiti. Cletiana aveva cambiato di nuovo abito: portava una veste in raso che sfiorava il pavimento; il Procuratore portava pantaloni rossi e farsetto.
La donna mannaro cercò Clarion con gli occhi. E lo vide vicino alle coppe: snudò i denti. Ma il compagno la trascinò verso un tavolo: prese tra gli artigli una coscia di fagiano, portandola alle fauci.
Gli alchimisti si stavano spostando per avvicinarsi al Procuratore, così Clarion fece un cenno alla donna ratto. Cletiana rispose al cenno, lasciando il braccio del procuratore; gli sussurrò qualcosa all’orecchio, quindi si allontanò. Il procuratore, continuando a masticare, lanciò una lunga occhiata a Clarion, poi si voltò per ascoltare gli alchimisti.
Appena fu a pochi passi da Clarion i baffi della donna ratto vibrarono.
«Le avete già riempite.»
Clarion non riusciva a stare tranquillo neanche in una camera piena di gente. «Il coppiere ha deciso di riempirle e distribuirle. Mi sembrava una buona idea.»
Il muso di Cletiana si avvicinò all’orecchio di Clarion per sussurrare: «Ora non posso controllare se sono a posto.»
«Avrai almeno un informatore nella stanza. O qualcuno che spia dalle pareti.» Clarion fissò uno dei quadri: aveva già notato i buchi al posto degli occhi di un vecchio nobile dipinto. «Sono certo che hai già ricevuto conferma: è andato tutto come progettato. Tu piuttosto dove sei stata?»
«Letis ha portato il procuratore alle stanza private.» La coda si agitò, sollevandosi dal pavimento. «Quella donna sa come fottere un uomo.»
«L’hai fermata?»
«Sì. Ma sono ancora convinta che fosse un evento casuale.» Cletiana guardò Letis, e sospirò.
«Non credo al caso. Ci siamo sbagliati: Letis non è innocente, e dovremo trovare un modo per gestire anche lei» disse Clarion.
Il coppiere passò a porgere le coppe e Cletiana chiese: «É andato tutto bene?»
«Sì, signora.»
Il cameriere aveva tentennato un attimo di troppo, e anche il tono era solo un attimo meno che convincente. Ma Clarion sapeva che i pugnali del Kleg non erano addestrati a leggere le persone. Sperò che Cletiana non fosse un’eccezione.
La donna ratto si girò a fissarlo: la spina dorsale di Clarion si trasformò in gelatina. Ma si costrinse a rimanere impassibile.
Cletiana annuì e prese due bicchieri: il suo bicchiere e quello di Clarion. Gli porse quello che doveva essere per sé stessa.
«Come segno di fiducia ti offro quello che doveva essere il mio.»
Clarion non lo accettò: prese l’altro bicchiere, quello originariamente riservato a lui.
«Abbiamo controllato insieme. E godi già della mia fiducia.»
Il muso da ratto annuì; l’espressione rimase illeggibile oltre il pelo. I baffi immobili. «Hai con te gli antidoti in ogni caso.»
Clarion sorrise e diede una pacca alla borsa. Intanto il coppiere aveva già distribuito il resto dei bicchieri.
«Tu rimani con il procuratore. Io resto vicino a Letis.»
Cletiana si allontanò e Clarion attese, seduto con i gomiti appoggiati al tavolo. Letis prese posto di fianco, il bacino spinto contro l’anca dell’uomo. La donna scostò la testa, liberando la fragranza dei capelli, prima di appoggiarsi alla spalla di Clarion.
Messaggio ricevuto.
Nessuno dei due parlò quando il procuratore alzò il bicchiere, intimando di fare silenzio.
«Siamo qui per celebrare un importante successo. La gilda degli alchimisti è riuscita a scoprire in anticipo l’arrivo di una nuova minaccia per Itis: la nostra amata città. Ma l’ultima epidemia ci ha insegnato molte cose e oggi siamo preparati.» Il mannaro aprì le braccia, come se volesse abbracciarli tutti. «Abbiamo individuato e isolato i focolai d’infezione. E ora abbiamo pronta una cura, già testata su casi conosciuti. Oggi la gilda di alchimisti si è guadagnata il monopolio sulla distribuzione. Vi ringrazio dell’attenzione.» Il ratto mannaro alzò il bicchiere. «Ed ora un brindisi per suggellare l’accordo.»
E poi bevve.
Clarion bevve senza attendere oltre. Gli alchimisti bevvero. Letis bevve. Tutti i presenti nella sala bevvero. L’ultima fu Cletiana.
«Ora continuate pure, spero che sia tutto di vostro gradimento.»
Le conversazioni ad alta voce degli alchimisti ripresero a saturare la stanza di voci, risate e altri versi.
Clarion rimase seduto di fianco a Letis. Notò che la donna stava seguendo i consigli: mangiava e beveva solo quello che prendeva Clarion; eppure le dita della donna avevano degli scatti nervosi.
«Ho fatto quello che mi hai chiesto.» La voce di Letis era un sussurro. «Ora sono tranquilla?»
«Sì.» Clarion sorrideva, e intanto controllava con la coda dell’occhio il capo degli alchimisti.
«Stai mentendo.»
«Non ora. Vai a parlare con il gran maestro. Ti raggiungo tra un minuto» disse Clarion, guardando la finestra. Il temporale era finito e i vetri facevano da specchio: così poteva controllare la stanza.
«Avevi promesso che mi avresti detto qualcosa.» La preoccupazione sul volto della donna stava attirando l’attenzione di Cletiana.
«Ascoltami bene: abbiamo solo un modo per uscire vivi da qua. E qualcuno si farà male.»
Il viso di Letis impallidì e Cletiana sollevò le sopracciglia con aria interrogativa: li stava fissando, ma Clarion finse di non accorgersene.
«Sono stati tutti avvelenati. Ho gli antidoti, ma solo cinque dosi. Una andrà al procuratore. Una per me. L’altra per te. Poi ci sono due innocenti.»
La donna strinse l’avambraccio di Clarion con entrambe le mani.
«Se parli sapranno che sei mia complice.» La pausa durò meno di un battito di ciglia. «E se non vai ammazzerai un innocente.»
«Non me la sento.» Letis emise un singhiozzo, silenzioso e tremante. «Ti prego.»
Clarion prese una boccetta da una sacca e la stappò, nascondendo il gesto con il mantello.
«O, ma che caldo che fa» Clarion aprì la finestra. Tutti si voltarono. «Lasciami un po’ solo, un…» Clarion simulò un singhiozzo, si appoggiò al davanzale e respirò la fresca aria della notte: si poteva ancora sentire l’odore del temporale, ma qualche stella solitaria trafiggeva il cielo notturno oltre le nubi.
Clarion versò il contenuto di una boccetta sul terreno.
Vide che qualcun altro li stava guardando: Cletiana in avvicinamento. Letis non poteva vedere il liquido, ma Clarion era sicuro che l’avrebbe sentito colare sul prato.
A quel punto la donna si decise ad allontanarsi.
Gli occhi di Clarion la seguirono mentre Letis si avvicinava al Procuratore, le orecchie invece ascoltavano i passi di Cletiana in arrivo. Le due donne si erano date cambio di fianco al Procuratore.
«Mio caro, non è il caso di aprire: fa troppo freddo e abbiamo una donna incinta.» Cletiana richiuse le imposte, chinò il muso per parlare a bassa voce. «Che stai facendo?»
«Sto mettendo alla prova Letis» Clarion si bloccò e guardò il braccio di Cletiana: tremava, anche se l’ampio vestito della donna mannaro copriva i sussulti. «Che ti succede? É il veleno?»
«No. Non dovrebbe avere questo effetto. Io…» Cletiana si appoggiò a un tavolino, come colpita da debolezza improvvisa. Un basso rumore simile a un rutto provenne dallo stomaco. Cletiana appoggiò una mano al petto. «Che diav….» Le parole si bloccarono in un sibilo.
Clarion vide il procuratore in arrivo e imprecò a bassa voce: questa non se l’aspettava.
«Ti prego. Non lasciarmi.» Gli artigli di Cletiana gli afferrarono il lembo del mantello, ma Clarion si liberò, scuotendosela di dosso; avanzò, barcollando nella sala. Fece in tempo a notare il procuratore che prendeva tra le braccia Cletiana, sostenendola.
Clarion si pose di fianco a Letis. E, senza preavviso, appoggiò le braccia sulle spalle ai due alchimisti. «Ehi voi. Mi siete testimoni, sta importunando la mia fidanzata. Dovrò sfidarlo a duello.»
Il gran maestro impallidì, mentre tutte le discussioni si bloccavano. I presenti si agitarono a disagio, lanciando occhiate per controllare le reazioni degli altri.
«Scherzo. Non ti ho ancora ringraziato. E volevo farti le congratulazioni. Un figlio. Che bello avere un figlio.» Clarion si scagliò sul capo degli alchimisti e lo abbracciò.
«Siete ubriaco. Vi prego.» Il capo degli alchimisti cercò di staccarsi, spingendolo via.
«Ma un uomo come può trattenere la sua felicità di fronte a belle persone come voi?» Clarion scosse l’alchimista. Così forte che questo perse la presa del bicchiere. Il cristallo si frantumò a terra.
Per un attimo rimasero tutti a fissarlo, in imbarazzo: nessuno sembrava sapere cosa fare.
«Maledetta la mia sbadataggine.» Clarion si spostò, singhiozzando; barcollò all’indietro. Si fermò di fianco a Letis.
Sistemò gli abiti, accarezzandosi il farsetto; finse di inciampare e si appoggiò a Letis con tutto il corpo. La donna incespicò, ma rimase in piedi.
«Io, salvatore di bicchieri, ho fallito. Mi spiace averti fatto fare brutta figura…» Clarion la prese tra le braccia. Sentì le mani Letis che premevano contro i fianchi per allontanarlo, senza però forzare troppo. Ne approfittò per sussurrarle qualcosa all’orecchio: «Devi fidarti di me, appena staran....»
«Cletiana!»
L’urlo fu una specie di squittio seguito da un sibilo rabbioso: scosse la sala, pieno di disperazione e ferocia.
Tutti si voltarono nel silenzio che seguì.
Linee di dolore contorcevano gli occhi e la bocca del Procuratore. L’uomo ratto cercava di tenere ferma la testa della compagna in preda alle convulsione. La donna sbavava un liquido schiumoso e bianco, mentre cadeva a terra, agitando le braccia. Atterrò riversa: la coda si attorcigliava in aria, sferzando intorno.
«Aiuto. Presto.»
Gli alchimisti corsero verso la scena e cercarono di trattenere la donna ratto mentre la controllavano. Il grassone lottò, provando a tenere ferma una delle gambe della donna, ma riuscì solo a strapparle i vestiti.
«Aiutatemi a fermarla per capire cos’ha» disse il grassone al Gran maestro Danseel.
«Lasciatela a terra e appoggiate dei vestiti dietro la nuca» ordinò con voce sicura il Gran maestro. «É un attacco epilettico: non potete fare nulla. Dobbiamo aspettare che passi.»
Il procuratore si levò il mantello, lo appallottolò e fece come gli era stato detto. Nello stesso istante il pugno della donna ratto colpì il pavimento con uno schiocco: partì uno schizzo di sangue. Lo zampillio divenne un arco rosso nell’aria mentre la donna tendeva il braccio indietro. Il vestito si strappò di nuovo con un suono secco, sporcandosi di rosso.
Il grassone balzò a terra, per evitare il sangue, ma uno schizzo lo raggiunse. L’alchimista si portò le mani al volto per pulirsi, studiò le mani sporche di rosso con espressione terrorizzata. Il procuratore intanto fissava il corpo in preda alle convulsioni; ogni tanto faceva un passo, come se avesse cambiato idea e volesse cercare di fare qualcosa.
Tutto finì pochi respiri dopo.
Le convulsioni terminarono e l’aria si riempì dell’odore di carne marcia. Il gran maestro si chinò a controllare e prese il polso della donna. Appoggiò due dita su di esso. Clarion si mosse verso lo stesso punto. Si chinò e le toccò il collo per cercare eventuali pulsazioni.
Nulla.
«Maledi...»
Clarion non fece in tempo a finire l’imprecazione perché degli artigli penetrarono nella spalla. Fu sollevato e scagliato contro il muro come una bambola di pezza: le scapole colpirono per prime la parete, subito seguite da anche, e infine le gambe rimbalzarono sulla pietra, rimanendo sospese sopra il pavimento.
Si trovò di fronte il muso del procuratore da cui penzolava una singola goccia di bava giallastra.
«Ti farò bollire la faccia nell’acido!» L’alito sapeva di vino e carogna; e un pezzo di carne penzolava tra i denti appuntiti.
...
Clarion ormai ha capito cos'è successo. Era già certo al 99%, e non si aspettava l'avvelenamento di Cletiana. Ma ora è sicuro al 100%. Dovrà adattarsi alla situazione per cavarsela.
E tu? Hai capito chi è o chi sono i colpevoli?
Trovi il finale qua.